La Procura ha chiesto l’archiviazione, i familiari della vittima si oppongono
Il 2 giugno dell’anno scorso Pasquale Crocetti, 68enne di origini tranesi, ma residente a Varese, è morto dopo un calvario durato quattro giorni, iniziato con forti dolori addominali. Due volte si era presentato al pronto soccorso di Bisceglie, ma secondo la famiglia in entrambe le occasioni era stato dimesso senza gli accertamenti necessari. Solo due giorni dopo, all’ospedale di Andria, arrivò la diagnosi: perforazione duodenale con peritonite acuta e shock settico. Crocetti fu operato d’urgenza, ma era ormai troppo tardi.
La Procura di Trani nelle scorse settimane ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta nei confronti di tre medici del pronto soccorso, sostenendo che, pur in presenza di condotte “non esenti da censura”, non fosse dimostrabile oltre ogni ragionevole dubbio che un comportamento diverso avrebbe evitato la morte del paziente. Una conclusione che la famiglia però non accetta. L’avvocato Riccardo De Lodi, legale dei familiari, ha depositato un’opposizione all’archiviazione, corredata da una nuova perizia di parte. Secondo i suoi consulenti, Sandro La Micela e Gianluigi Melotti, nel pronto soccorso di Bisceglie si sarebbero verificate gravi omissioni diagnostiche: non fu richiesta una consulenza chirurgica né eseguita una Tac, nonostante i segni di un addome acuto già evidenti.
Nella memoria tecnica i consulenti scrivono che “tra il nulla e una possibilità del 75% di individuare la perforazione intercorre una differenza enorme: un dubbio ragionevole che non può giustificare l’archiviazione”. Per la famiglia Crocetti un ritardo diagnostico di oltre 48 ore ha compromesso in modo irreversibile le possibilità di sopravvivenza dell’uomo, che con una diagnosi tempestiva avrebbe avuto “una probabilità di salvezza prossima alla certezza”. Ora sarà il giudice per le indagini preliminari di Trani a decidere se accogliere l’opposizione e disporre nuove indagini.








